In Italia siamo antirazzisti solo quando succede qualcosa in un altro Paese?



La manifestazione per l’omicidio di George Floyd a Roma, 7 giugno 2020. (Alessandra Benedetti, Corbis/Getty Images)



Nell’ultimo anno gli episodi di razzismo, i crimini di odio, le azioni di ostilità verso gli stranieri, le aggressioni a sfondo xenofobo sembrano essere aumentati in maniera preoccupante. In Italia come nella maggior parte dei paesi occidentali i crimini di odio, motivati da ragioni etniche, religiose e razziali sono in aumento da anni, anche se le cause di questo incremento sono difficili da stabilire.
 
Non può respirare George Floyd. E lo dice, prima di essere ucciso da un agente che gli tiene il ginocchio sul collo. “Non riesco a respirare”. Non è la prima volta che negli Stati Uniti un afroamericano muore di soffocamento mentre è nelle mani di un poliziotto. Non è la prima volta che sentiamo quella frase, però, quelle parole suonano ancora più drammatiche.
Un po’ perché l’omicidio è stato ripreso dai telefoni dei passanti e tutti hanno potuto ascoltare le ultime parole di Floyd senza mediazioni. Un po’ perché negli ultimi mesi quelle stesse parole sono state dette in circostanze completamente differenti da migliaia di persone malate di covid-19 nei reparti di terapia intensiva e nelle corsie degli ospedali di mezzo mondo. Anche George Floyd, tra l’altro, è risultato positivo al coronavirus, pur essendo asintomatico. Ma non è morto per il virus, che solo negli Stati Uniti ha ucciso centomila persone. Così il razzismo e la pandemia convivono in quella frase che da due settimane, negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, il movimento antirazzista ha ripetuto come uno slogan in decine di cortei. “La pandemia è il razzismo”, era scritto in un cartello scritto a mano, tra molti, portato alla manifestazione di Roma, il 7 giugno, per sostenere il movimento di protesta statunitense esploso dopo l’uccisione di Floyd.
Pandemia e disuguaglianze sono i due assi intorno a cui ruota la fase che stiamo vivendo, che per molti paesi dovrebbe essere già una fase di riapertura: l’epidemia di coronavirus ha acuito le disuguaglianze, ha reso ancora più manifesti e insopportabili gli squilibri che esistono nelle società e che affondano nella linea del colore, ma anche in quella del genere e della classe. Così il grido di George Floyd è diventato il grido di molti che escono di casa negli Stati Uniti in piena pandemia per dire: “Non riesco a respirare”. Non riesco più a sopportare. Nonostante il timore del virus.
In Italia, nel fine settimana del 6 e 7 giugno  da Roma a Torino, le piazze si sono riempite di manifestanti, non senza suscitare una certa sorpresa negli stessi organizzatori. L’Italia infatti è stato uno dei paesi più colpiti dal coronavirus in Europa e i timori per la diffusione dell’epidemia sono ancora molto presenti nella maggior parte della popolazione, anche se dal 3 giugno sono stati sospesi quasi tutti i divieti introdotti a marzo per il lockdown. A Roma, in piazza del Popolo, in una domenica mattina carica di afa, più di tremila persone si sono inginocchiate a terra dalle 12.03 alle 12.11: otto minuti e 46 secondi, lo stesso tempo in cui George Floyd è rimasto con il collo sotto al ginocchio dell’agente che lo ha ucciso. Hanno scandito le stesse parole con il pugno alzato: “Non riesco a respirare”. E poi si sono alzati gridando: “George Floyd è qui, basta razzismo”.




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